Oggi tre - diconsi 3 - buone notizie che abbiamo "catturato" al volo grazie al dr. Enrico Bucci (Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare, professore aggiunto alla Temple University di Filadelfia - USA).
Vaccini - Status attuale (aprile 2020) 1. Una società cinese ha per la prima volta portato un candidato vaccino per COVID-19 in fase 2 - vale a dire nella fase di sperimentazione umana che serve a determinare l'efficacia. Si tratta della "CanSino Bio", che ha usato una tecnologia ben nota: sfruttando un adenovirus di tipo "5" come vettore, è stata inserita la proteina "spike" del coronavirus pandemico, per produrre un promettente candidato vaccino. La fase 1 è stata avviata su 108 volontari a marzo ed in sole 3 settimane, stante l'assenza di tossicità, ha iniziato a reclutare pazienti per la fase 2 per provare l'efficacia. << Se avranno successo, si tratterà di un record assoluto in termini di identificazione di un pericolo infettivo e sviluppo rapido di un vaccino: un passo gigantesco della ricerca scientifica, e potremo avere un vaccino molto prima del previsto >> afferma il dr. Bucci. Per maggiori informazioni, qui trovate i clinical trials di fase 1 e 2 condotti da questa società: clinical trials fase 1 clinical trials fase 2 2. L'americana "Moderna therapeutics" è sulla buona strada, anche se più indietro con i tempi: siamo ancora in fase 1 (iniziata a marzo) e la tecnologia utilizzata è completamente diversa. Si tratta della "reverse vaccinology": utilizzando un piccolo RNA si fa in modo che sia il nostro stesso corpo a produrre un antigene che induce la risposta immunitaria. << Se tutto va bene, si arriverà ad avere anche i dati di immunogenicità fra giugno e luglio e si potrà entrare in fase 2 in primavera avanzata o in estate. Tecnologia diversa, identico obiettivo, impressionante velocità anche qui: il fatto che tante società diverse, con diversi strumenti, stiano affrontando a tempo di record il problema della produzione di un vaccino efficace fa ben sperare >> le parole del dr. Bucci. Ulteriori notizie qui. Farmaci antivirali 3. Sono arrivati i primi dati significativi su una molecola in grado di inibire la polimerasi virale (l'enzima che replica, di fatto, l'RNA del virus per produrre nuove copie pronte ad infettare altre cellule umane): si tratta del farmaco Remdesivir. << In uno studio osservazionale pubblicato sul New England Journal of Medicine, si descrive l'andamento clinico di oltre un cinquantina di pazienti trattati in tutto il mondo (a fronte dell'unico paziente descritto in letteratura fino ad oggi). Gli esiti, anche per pazienti in situazione grave, sono molto promettenti, in termini di diminuzione del rischio di morte e di miglioramento clinico; adesso aspettiamo i risultati (imminenti) di uno studio in cieco, randomizzato, su larga scala (ce ne sono diversi che sono a buon punto) >> conclude il dr. Bucci. Ad majora!
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Breve viaggio tra antropomorfismo, comportamenti istintivi ed emozioni [di David Fiacchini - Biologo] La branca della biologia che studia il “comportamento animale” è l’etologia, disciplina che collabora e interagisce con altre scienze biologiche (come fisiologia, ecologia, zoologia) e con settori della psicologia e delle scienze sociali. A proposito: avete letto “L’anello di Re Salomone”, del compianto Konrad Lorenz, premio Nobel per la medicina nel 1973 e “padre” della moderna etologia scientifica? Consideratelo come uno dei tanti consigli di lettura per trascorrere questo periodo di “reclusione forzata” in modo ancor più costruttivo.
Negli anni si è osservato come molti animali siano capaci di interagire tra loro, scambiare informazioni e trasmetterle da un individuo all’altro per via “non genetica”: memoria, comunicazione e creatività costituiscono la base di consuetudini che potremmo definire “tradizioni culturali”, mentre l’imitazione e l’apprendimento ne sono il motore trasmissivo ed evolutivo (1). La loro “cultura”, ovviamente, non è basata su libri o parole, ma non per questo è poco interessante o meno sorprendente: mamma gatta insegna ai piccoli come si cacciano i topi; le balene sanno comunicare tramite “frasi” sonore; certe scimmie per difendersi dai predatori hanno sviluppato forme di comunicazione che ricordano il nostro linguaggio; ci sono fringuelli che cacciano gli insetti annidati nei tronchi usando bastoncini modellati allo scopo e cornacchie in grado di risolvere problemi usando materiali poveri a disposizione nell’ambiente limitrofo; alcuni corvidi, inoltre, riconoscono persone che hanno dato loro del cibo o quelli che li hanno scacciati in malo modo, avvisando di conseguenza i compagni; proverbiale, poi, è l’abilità dei polpi nel “maneggiare” nuovi oggetti e utilizzarli in vario modo. Potremmo fare molti altri esempi di comportamenti più o meno classificabili come “culturali” nel mondo animale, ma che dire delle emozioni? C’è una forma di apprendimento e di trasmissione culturale anche per le esperienze emotive? Le emozioni negli animali Gli etologi sono stati da sempre molto riluttanti nell’attribuire emozioni “umane” (come la “gioia” e la “tristezza”, ad esempio) a specie animali diverse dalla nostra. Già il buon Charles Darwin, nel 1872, con “L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali” provò a capire se i movimenti dei muscoli facciali (che manifestano imbarazzo, tristezza, ira o sorpresa e che sono diffuse tra i sapiens di tutto il mondo) siano acquisiti per apprendimento o innati; il naturalista inglese si è poi domandato se anche altri organismi possiedono almeno alcune di queste emozioni e in che modo determinate forme espressive degli animali somigliano o meno a quelle dell'uomo. Il dibattito sulle emozioni nel mondo animale è proseguito e prosegue tutt’ora: è stato solo negli ultimi 15-20 anni, però, che si sono registrati nuovi dati sperimentali e molteplici osservazioni che provano la capacità di vivere esperienze emotive in diversi animali anche molto lontani – filogeneticamente – da noi sapiens. Probabilmente vi ricorderete della femmina di orca che, lo scorso mese di dicembre, aveva vegliato e sorretto per giorni il corpo esanime di un suo cucciolo nelle acque del porto di Genova, attorniata dal branco (2). E di mamma delfino che, nell’estate del 2015 di fronte alla spiaggia di Ostia, non si rassegnava alla morte del proprio cucciolo (3). Nei documentari naturalistici, inoltre, vi sarà capitato di osservare dei “rituali” (quasi delle “cerimonie funebri”) messe in atto, ad esempio, da specie quali elefanti, delfini e scimpanzé (4). Le recenti osservazioni sulla sofferenza degli animali per la morte di un compagno ampliano il novero di specie che mostrano la capacità di esprimere il “lutto”: c’è, in ambito scientifico, chi accusa di “antropomorfismo” (la proiezione di qualità o capacità umane su altre specie) gli etologi che si avventurano nel campo di studio delle emozioni animali. Ma è proprio l’etologia che, nel tempo, ha dimostrato come nel regno Animalia noi esseri umani non abbiamo il monopolio sull’espressione di emozioni quali la tristezza e il suo opposto, la gioia. Ma cosa vuol dire… “emozione”? Nell’ambito delle neuroscienze per “emozione” si intende uno stato fisico del corpo innescato da stimoli esterni. Mentre lo stato mentale che accompagna i cambiamenti della componente fisica viene definito come “sentimento”, rappresentando quindi un’esperienza cosciente. La percezione e l’elaborazione degli stimoli nei circuiti cerebrali preparano un individuo ad esprimere un’emozione: che si tratti di gioia o di tristezza, quell’emozione emerge in una situazione che si svolge con i propri conspecifici. È espressa, dunque, da animali che sono consapevoli e coscienti di quanto stanno sperimentando e non riguarda solo animali che abbiamo imparato a conoscere per la loro “intelligenza”, come elefanti, delfini e primati. Due esempi che possono chiarire meglio il quadro appena descritto, uno relativo ai pecari dal collare e l’altro agli asini. Il caso dei Pecari dal collare (Pecari tajacu) Nel 2017 un bambino 8 anni che abita nella cittadina di Prescott, in Arizona, nel corso della festa di compleanno riceve in regalo una videocamera. Decide di piazzarla sul confine della propria abitazione, per riprendere una piccola mandria di Pecari dal collare (un mammifero artiodattilo suiforme) che vive in quella zona. Il bambino si accorge che un esemplare del gruppo, una femmina adulta, era morta: la telecamera, dotata di sensore di movimento, nell’arco di dieci giorni registra ben 93 video da 30 secondi in cui si osserva il comportamento dei pecari. Per la metà del tempo i membri della mandria alterano il loro abituale rituale quotidiano (alimentazione, riposo, interazioni sociali), restando vicini alla femmina, e per più di un terzo del tempo entrano in diretto contatto con il corpo della compagna morta (annusandolo, mordicchiandolo, sollevandolo, osservandolo, dormendo a fianco), difendendola anche dall’attacco dei Coyote, temibili predatori. Il caso volle che il piccolo, nel presentare le immagini del comportamento dei pecari alla fiera scientifica della scuola, si trova tra il pubblico dei genitori anche una biologa del Prescott College: da questo fortuito incontro nasce un bellissimo articolo, pubblicato nella rivista scientifica “Ethology ”, che dimostra la complessità comportamentale di questi artiodattili e che associa i pecari, tra gli altri, a scimpanzé e ad umani per la modalità di reazione di fronte alla morte. Modificare il proprio comportamento abituale in modo significativo, ad esempio in seguito alla morte di un conspecifico, è indice di sofferenza secondo molti etologi (5). È vero, non siamo in grado di leggere nella mente degli animali, quindi un margine di errore nell’interpretare i dati comportamentali c’è sempre; tuttavia, conoscendo l’etologia e l’ecologia di questi e di altri animali che manifestano forme di cooperazione, interazioni amichevoli, coesione sociale, l’osservazione di certi comportamenti corrisponde – in modo del tutto ragionevole – alla capacità di espressione consapevole di un’emozione. Il dolore dell’asino per un… cavallo Grazie anche alla diffusione di internet, negli ultimi tempi sono molteplici le storie e gli aneddoti relativi a presunti casi di “interesse” o di “turbamento” manifestato da parte di animali nei confronti di situazioni particolari. È nota, ad esempio, la reazione degli asini di fronte alla morte di un loro conspecifico. Ma c’è di più. In un rifugio di animali attivo in Canada, nel 2018, muore un cavallo di 32 anni. Una femmina di asino che aveva vissuto fianco a fianco al cavallo per tre anni ha vegliato il corpo, ricoperto da un telo, per tutta la notte e l’indomani, seguendo le procedure di sepoltura, è rimasta attorno alla “tomba” per giorni, rifiutandosi di mangiare e smuovendo la terra con gli zoccoli. Nelle settimane successive, stremata, ha ricominciato a mangiare cercando la compagnia di altri cavalli. Una storia, forse, come tante altre che però indica come anche nei mammiferi perissodattili ci sia un’evidente risposta emotiva alla morte, peraltro di un esemplare di un’altra specie. Ma l’elenco di specie che esprimono tristezza di fronte alla scomparsa di un loro simile, anche al di fuori del rapporto madre/figlia o d’ambito familiare, si allunga: orche, furetti, bovini, gazze, oche canadesi e altre ancora (si vedano, tra gli altri, i lavori della prof.ssa B.J. King: 5; 6). Ad ogni buon conto, la ricerca sulle emozioni negli animali prosegue perché resta ancora molto da scoprire: occorre testare, per prima cosa, la correttezza delle ipotesi sui fattori che determinano se una specie sperimenta gioia o tristezza. E valutare in quali circostanze e con quali modalità questo avviene, ottenendo prove scientifiche in grado di rispondere in modo soddisfacente alle giuste obiezioni di chi ritiene certi comportamenti meramente istintivi e non esperienze coscienti. L’argomento è di grande interesse perché una prospettiva inter-specie sul lutto o sulla felicità evidenzia come l’espressione di emozioni non sia una prerogativa umana. In molte specie animali le relazioni sociali vanno oltre il “semplice” legame adattativo per la sopravvivenza e per la riproduzione: riconoscere e consolidare questo dato di fatto ci apre una nuova finestra per studiare con sempre maggior interesse il mondo naturale. Principali fonti consultate 1) Michelangelo Bisconti, 2008. Le culture degli altri animali. È Homo l'unico sapiens? Zanichelli editore, pp. 208 2)https://genova.repubblica.it/cronaca/2019/12/09/news/genova_mamma_orca_si_e_arresa_e_ha_abbandonato_il_cucciolo_morto-243031945/ 3)https://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/ostia_cornelia_mamma_delfino_nuovo_baby-1966846.html 4) https://www.focus.it/ambiente/animali/quel-senso-degli-animali-per-la-morte 5) Barbara J. King, 2013. How animals grieve. University of Chicago Press, pp. 208 6) Barbara J. King, 2019. Il cordoglio dell’orca. Le Scienze, 611 (luglio 2019): 82-87 Stiamo trattando sempre del "famigerato" e tristemente noto SARS-CoV2, il responsabile della sindrome Covid-19 che ha messo al tappeto centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo e sta bloccando interi stati.
In un post precedente si parlava della possibile trasmissione del virus, da persona infetta a persona sana, tramite "piccole goccioline" (droplets) emesse durante un colpo di tosse o uno starnuto. Che dire, invece, dell'aerosol ? Ovvero, cosa c'è nell'aria? In questo interessante articolo pubblicato su "Il Post" lo stato delle conoscenze attuali, in attesa di ulteriori nuovi dati. #staystrong [immagine presa da web] Sempre interessanti le "Scientific brief" dell'OMS: si tratta di pezzi di scienza che si fa sul campo, quasi in diretta vista l'emergenza in corso.
Quest'ultima sintesi è sulle modalità di trasmissione del nuovo betacoronavirus SARS-CoV2 responsabile della famigerata Covid19. Speriamo di leggere presto qualcosa di significativo anche sull'immunocompetenza dei soggetti guariti e di chi, pur non avendo manifestato la malattia, ha comunque sviluppato immunoglobuline specifiche (anticorpi anti SARS-CoV2)! E' un punto cruciale che servirà a chi governa per dirimere, assieme agli esperti di salute pubblica, la "questione" relativa alle future misure di contenimento e gestione della pandemia. #OMS #covid19 #scientificbrief << (...) La trasmissione di droplets si verifica quando una persona è in stretto contatto (entro 1 m) con qualcuno che ha sintomi respiratori (ad esempio, tosse o starnuti) ed è quindi a rischio di avere le mucose (bocca e naso) e la congiuntiva (occhi) esposte alle "goccioline respiratorie" potenzialmente infettive. La trasmissione può anche avvenire attraverso oggetti (quali, ad esempio, vestiti e lenzuola) che si trovano nell'ambiente circostante intorno alla persona infetta. Pertanto, la trasmissione del virus responsabile della malattia COVID-19 può avvenire per contatto diretto con persone infette e contatto indiretto con superfici nell'ambiente immediato o con oggetti usati sulla persona infetta (ad es. stetoscopio o termometro). (...) La trasmissione aerea può essere possibile in circostanze e contesti specifici (in ambito medico-ospedaliero, ndr) in cui vengono eseguite procedure o trattamenti di supporto che generano aerosol; ovvero intubazione endotracheale, broncoscopia, aspirazione aperta, somministrazione di trattamento nebulizzato, ventilazione manuale prima dell'intubazione, rotazione del paziente in posizione prona, disconnessione del paziente dal ventilatore, ventilazione a pressione positiva non invasiva, tracheostomia e rianimazione cardiopolmonare...(...) È importante notare che il rilevamento di RNA in campioni ambientali basati su saggi basati sulla PCR non è indicativo di virus vitali che potrebbero essere trasmissibili (...) >>. Fonte: OMS https://www.who.int/news-room/commentaries/detail/modes-of-transmission-of-virus-causing-covid-19-implications-for-ipc-precaution-recommendations |